giovedì 31 marzo 2011

La goccia (di Ascanio Celestini)


Un uomo è seduto in una stanza.
Guarda il rubinetto che goccia.
L’uomo pensa 

«È una goccia.
Io potrei alzarmi e andare a chiudere il rubinetto,
ma non posso fare tutto io».

Intanto, le gocce cadono una dopo l’altra.
L’uomo nella stanza vede il lavandino che si riempie.
Vede la fatale goccia che fa traboccare il vaso.
Vede l’acqua che cade sul pavimento.
Sente i piedi che incominciano a bagnarsi e pensa.

«Prima o poi, goccia dopo goccia si allagherà la stanza
Il pavimento cederà sotto il peso dell’acqua
Ma il pavimento della mia stanza
è il soffitto della stanza di sotto
Miliardi di gocce sfonderanno quel soffitto
e allagheranno la stanza del piano inferiore.
con tutti gli oggetti utili e inutili
e le persone che lo abitano.
Le stanze che cadranno una sopra l’altra
fino a fare crollare il palazzo
e l’acqua seppellirà le maceria».

Un uomo è seduto in una stanza.
Guarda il rubinetto che goccia e vede il diluvio.
E pensa 

«Non è possibile. No, proprio non è possibile».

Così si gira e guarda verso il muro.
Smette di pensare alla goccia.
Sorride, si addormenta.
E affoga serenamente.


Brano tratto dal libro di Ascanio Celestini «Io cammino in fila indiana».
«A voler smettere di camminare in fila indiana bisogna cominciare a ragionare in cerchio».

mercoledì 30 marzo 2011

“Sono di sinistra però me ne frego” (di Ascanio Celestini)


Io sono di sinistra. In 150 anni di storia di questo paese c’è stato un regime monarchico, un regime fascista, un regime democristiano e poi un regime berlusconiano. Taluni osservatori sostengono che questa egemonia non dipende dal consenso che ottiene la destra, ma dal fatto che la sinistra non riesce ad esprimere un vero dissenso. E questo perché la gente di sinistra, alla fine, la pensa come Berlusconi e Andreotti, Mussolini e i Savoia. Io non sono d’accordo. Nel senso che io sono di sinistra, però non penso che ci debba essere questo aut aut, cioè se sei di destra devi dire cose di destra se sei di sinistra devi dire cose di sinistra. Per esempio io sono di sinistra, sono andato in piazza per difendere la costituzione e lo so che nella costituzione c’è scritto che l’italia ripudia la guerra.

Io sono di sinistra, però se tutto il mondo si muove contro Gheddafi mi pare giusto che lo facciamo pure noi e sono sicuro che se al governo ci stava la sinistra faceva la stessa cosa. D’altra parte D’alema quando era presidente del consiglio cosa ha fatto in Serbia? E Prodi non era d’accordo con la costruzione della base americana di Vicenza? Così come, pur essendo di sinistra, io ero d’accordo anche sul trattato che l’Italia ha fatto con la Libia di Gheddafi. Certo Berlusconi ha un po’ esagerato coi baciamano, con tutto quel circo della tenda montata a villa Pamphili, però fino a quando Gheddafi è un capo di stato, deve essere rispettato. oggettivamente, noi siamo dipendenti dalla Libia che ci da il gas.

Io sono di sinistra, però il gas non è mica di sinistra o di destra, io sono di sinistra, però me lo faccio pure io un uovo al tegamino e c’ho bisogno del gas… non dico: mi mangio l’uovo crudo per non consumare il gas di Gheddafi! Per non parlare del problema dell'immigrazione!

Io sono di sinistra, però da quando s’è firmato l’accordo con Gheddafi gli extracomunitari hanno smesso di sbarcare in Italia. Gheddafi è un dittatore, ma c’ha risolto un problema. Te ne freghi che al meccanico gli puzzano le ascelle… se ti ripara il motore... Io sono di sinistra, però non sono contento che questo paese viene invaso dagli africani e pure dalle africane... e quando la sera torno a casa, sulla via Palmiro Togliatti è pieno di prostitute col culo di fuori.

Io sono di sinistra, però non mi piace che mio figlio vede questo spettacolo se poi mio figlio si va a scaricare i film zozzi da Internet... è libero di farlo, ma non sono io il responsabile.

Io sono di sinistra, però i benpensanti che se la prendono coi politici che fanno i festini con le escort… poi difendono quelle zozzone in mezzo alla strada.

Io sono di sinistra, però almeno le escort non mostrano il culo a tutti quelli che passano sulla Salaria, ma solo a chi paga, poi sono presentabili e te le puoi portare dietro pure ad una cena importante con qualche capo di stato straniero. Io sono di sinistra e ovviamente non ci credo che quello davvero pensava che era la nipote di Mubarak.

Io sono di sinistra, però battere sempre il tasto sull’età di quella Ruby mi sembra una carta perdente. E se c’aveva 18 anni invece di 17? Che cambiava? il problema è il numero di candeline che c’aveva sulla torta?

Io sono di sinistra, però anche Montanelli, che era un grande giornalista... pure se non era di sinistra, quando stava in Africa a fare la guerra s’è sposato una ragazzina di 12 anni, se l’è comprata per 500 lire perché le africane a quell’età sono già donne. A 17 anni sta già in menopausa!É una questione di razza, le africane sviluppano prima. Pure mio cugino c’ha un coker e a 2 anni l'ha fatto accoppiare, ma mica lo denuncio perché è un pedofilo. Il coker a due anni ha già sviluppato. Certo, mio cugino l’ha fatto accoppiare con un altro coker, mica con un vecchio di 70anni, però tanto di cappello a uno che a quell’età ancora ci riesce.

Io sono di sinistra, però non mi vergogno a dire che Berlusconi è un politico con le palle.

Io sono di sinistra, però Andreotti pure se c’ha avuto il processo per mafia... c’aveva tutto un altro spessore, un’altra ironia.

Io sono di sinistra, però Mussolini era un uomo per bene.  Lo diceva pure mia nonna che era di sinistra come me.

Noi di sinistra non siamo dogmatici. Prima eravamo comunisti, adesso siamo capitalisti. Prima eravamo libertari, ora siamo liberisti. Prima eravamo internazionalisti, ora siamo patrioti, andiamo in giro col tricolore, ma che altro dobbiamo fare?

Io sono di sinistra, peròse qualcuno dice che rinnegando le nostre convinzioni di fatto siamo diventati di destra, io neanche lo sto ad ascoltare.

Io sono di sinistra, però me ne frego.

(Monologo andato in onda a “Parla con me”, su Rai3, giovedì 24 marzo)

venerdì 25 marzo 2011

Ma le guerre non costruiscono niente (di Carlo Petrini)

«Chi combatte viene sempre sconfitto, da entrambe le parti. È solo una questione di tempo. La vittoria non dura nemmeno il tempo di gridare il suo nome che il piatto della bilancia comincia già a risalire dalla parte del perdente». In questi giorni ho ripreso in mano la "Lettera ai contadini sulla povertà e la pace" di Jean Giono, scritta nel '38 ma dannatamente attuale.

Una lettura che consiglio.

Francamente credo che ci si possa pronunciare contro questa guerra senza dover essere per forza tacciati come fiancheggiatori di qualche forza maligna. Perché la vera forza maligna è la guerra. Io sono convinto che sia ingiusta e faccio fatica a stare zitto, mi sentirei in imbarazzo. Certo, come ha scritto Michele Serra, di fronte a una situazione complessa e drammatica come quella libica viene da sentirsi «indecisi a tutto», ma poi se penso ai bombardamenti, a tutti gli uomini, donne e bambini che possono finire sotto il piombo, a maggior ragione per sbaglio, non ce la faccio a non decidere. Non riesco a pensare che i bombardamenti siano l'unico sistema per risolvere questioni così delicate. Non riesco a non pensare che siamo in un'area africana, un'area che trabocca di petrolio e d'interessi lontani dalla vita delle semplici persone libiche.

È pur vero che ci saranno pochi contadini in Libia, come quelli cui si rivolgeva Giono, ma non mancano di certo i poveri e gli umili, coloro che ora stanno bussando alle porte dell'Europa, dell'Italia, di Lampedusa. Gli umili, che sono sempre i primi ad andarci di mezzo in situazioni di guerra: «il fronte e il ventre» dei conflitti. Nella post-modernità facciamo la guerra ma vogliamo tenerla lontana e vogliamo tenerne lontane le conseguenze. Mentre viviamo una crisi epocale non riusciamo a prendere coscienza che i rapporti con il Sud del mondo si risolvono con la condivisione, a vantaggio di tutti. Condivisione non significa mandare aiuti umanitari per fermare l'invasione di migranti, il nostro principale spauracchio. Aiuti che tra l'altro ogni anno sono promessi dai governi del mondo con tanto di cifre e poi puntualmente non sono erogati. «La crisi», dicono. Ma se non ci sono soldi perché poi si trovano per le armi?

In due giorni si trovano risorse per lanciare bombe, mobilitare eserciti, intanto nessuno vuole farsi carico di quei 15.000 umili, quei poveri cristi che sono "parcheggiati" a Lampedusa in condizioni disumane. Condivisione significa la volontà di costruire insieme qualcosa di duraturo, qualcosa che non sottragga niente a nessuno, ma dia l'umana possibilità di vivere degnamente a tutti e alle future generazioni, sulla propria terra. Condivisione significa proteggere la nostra "cittadinanza terrestre", come la chiama Edgar Morin. Quindi lo devo dire: sono contrario alle guerre, a questa guerra come m'indignavo per il comportamento di Gheddafi.

Il no al tiranno e alla sua strategia criminale deve però essere caparbiamente affermato da una comunità internazionale che usi tutte le armi della diplomazia e del convincimento prima delle bombe. Lo dico non perché arriveranno i clandestini e gli sfollati, non perché ho baciato la mano a qualcuno e mi «dispiace per lui», nemmeno perché nutro interessi particolari o devo riverire un altro più potente di me, tra l'altro rendendomi ridicolo di fronte al mondo. Non è un caso che le persone che hanno a cuore l'ambiente e i beni comuni, i movimenti ecologici, quelli per l'acqua, per la difesa dell'agricoltura, contro il nucleare, quelli che combattono la fame e la malnutrizione e che lottano contro tutte le ingiustizie, sociali ed economiche, appartengano tutte alla schiera dei pacifisti convinti.

A noi che ci sentiamo pienamente "cittadini della terra" non interessa il provvisorio, ci interessa ciò che dura nel tempo, anche se capiamo l'incertezza e lo smarrimento nel cercare di comprendere questi tempi difficili e gli sconcertanti avvenimenti di queste ultime settimane. Vi prego, leggete o rileggete Jean Giono: «La violenza e la forza non costruiscono mai. La violenza e la forza non ripagano mai l'uomo. Possono soltanto accontentare quelli che si soddisfano con il provvisorio. Malgrado tutte le nostre civiltà occidentali, non abbiamo ancora smesso di saziarci del provvisorio. Forse sarebbe ora di pensare all'eterno. Non intimoritevi di fronte a questa parola: essa indica semplicemente uno dei vostri sensi, il più naturale, la vostra facoltà più specifica». Era il '38, eravamo a un passo dalla Seconda Guerra Mondiale.

(La Repubblica, 24 marzo 2011)

mercoledì 23 marzo 2011

Discorso finale da "Il grande dittatore" (Charlie Chaplin)

Mi dispiace, ma io non voglio fare l'Imperatore, non è il mio mestiere. Non voglio governare, né conquistare nessuno. Vorrei aiutare tutti se possibile: ebrei, ariani, neri o bianchi.

Noi tutti vogliamo aiutarci vicendevolmente. Gli esseri umani sono fatti così. Vogliamo vivere della reciproca felicità, ma non della reciproca infelicità. Non vogliamo odiarci e disprezzarci l'un l'altro. In questo mondo c'è posto per tutti, la natura è ricca ed è sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica, ma noi l'abbiamo dimenticato. L'avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha chiuso il mondo dietro una barricata di odio, ci ha fatto marciare, col passo dell'oca, verso l'infelicità e lo spargimento di sangue.
Abbiamo aumentato la velocità, ma ci siamo chiusi in noi stessi. Le macchine che danno l'abbondanza ci hanno dato povertà, la scienza ci ha trasformato in cinici, l'abilità ci ha resi duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità. Più che d'intelligenza abbiamo bisogno di dolcezza e di bontà. Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto.

L'aviazione e la radio hanno ravvicinato le genti: la natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà dell'uomo, reclama la fratellanza universale, l'unione dell'umanità. La mia voce raggiunge milioni di persone in ogni parte del mondo, milioni di uomini, donne e bambini disperati, vittime di un sistema che costringe l'uomo a torturare e imprigionare gente innocente.

A quanti possono udirmi io dico: non disperate. L'infelicità che ci ha colpito non è che un effetto dell'ingordigia umana: l'amarezza di coloro che temono le vie del progresso umano. L'odio degli uomini passerà, i dittatori moriranno e il potere che hanno strappato al mondo ritornerà al popolo. Qualunque mezzo usino, la libertà non può essere soppressa.
Soldati! Non consegnatevi a questi bruti che vi disprezzano, che vi riducono in schiavitù, che irreggimentano la vostra vita, vi dicono quello che dovete fare, quello che dovete pensare e sentire! Non vi consegnate a questa gente senz'anima, uomini-macchina, con una macchina al posto del cervello e una macchina al posto del cuore!

Voi non siete delle macchine! Siete degli uomini! Con in cuore l'amore per l'umanità! Non odiate! Sono quelli che non hanno l'amore per gli altri che lo fanno.
Soldati! Non combattete per la schiavitù! Battetevi per la libertà! Nel diciassettesimo capitolo di san Luca sta scritto che il regno di Dio è nel cuore degli uomini.
Non di un solo uomo, non di un gruppo di uomini, ma di tutti voi. Voi, il popolo, avete il potere di creare le macchine, di creare la felicità, voi avete la forza di fare che la vita sia una splendida avventura. Quindi in nome della democrazia, usiamo questa forza, uniamoci tutti e combattiamo per un mondo nuovo che sia migliore, che dia agli uomini la possibilità di lavorare, ai giovani un futuro, ai vecchi la sicurezza.

Promettendo queste cose i bruti sono saliti al potere. Mentivano: non hanno mantenuto quella promessa e mai lo faranno. I dittatori forse sono liberi perché rendono schiavo il popolo, allora combattiamo per quelle promesse, combattiamo per liberare il mondo eliminando confini e barriere, l'avidità, l'odio e l'intolleranza, combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso diano a tutti gli uomini il benessere.
Soldati uniamoci in nome della democrazia!

Hannah, puoi sentirmi? Dovunque tu sia abbi fiducia, guarda il cielo.

Hannah! le nuvole si disperdono, comincia a splendere il sole. Poi usciremo dall'oscurità verso la luce, vivremo in un mondo nuovo, in cui gli uomini si solleveranno al di sopra della loro avidità, del loro odio e della loro brutalità..
Guarda il cielo, Hannah! L'animo umano troverà le sue ali e finalmente comincerà a volare sull'arcobaleno.
Guarda il cielo, Hannah! Guarda il cielo!

martedì 22 marzo 2011

Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli (Carta di Algeri)

 
Sommario
Proclamata da Lelio Basso ad Algeri il 4 luglio 1976, data simbolica in quanto duecentesimo anniversario della Dichiarazione d'Indipendenza americana, stabilisce i diritti fondamentali dei popoli all'esistenza, alla autodeterminazione, alle risorse, alla cultura, all'ambiente, anticipando concetti e principi che successivamente saranno - almeno parzialmente - acquisiti dal Diritto internazionale.
 
Abstract
 
Preambolo

Noi viviamo tempi di grandi speranze, ma anche di profonde inquietudini;

    - tempi pieni di conflitti e di contraddizioni; - tempi in cui le lotte di liberazione hanno fatto insorgere i popoli del mondo contro le strutture nazionali e internazionali dell'imperialismo e sono riusciti a rovesciare i sistemi coloniali;

Ma questi sono anche tempi di frustrazioni e di sconfitte, in cui nuove forme di imperialismo si manifestano per opprimere e sfruttare i popoli.

L'imperialismo, in forza di meccanismi e di interventi perfidi o brutali, con la complicità di governi spesso da esso stesso imposti, continua a dominare una parte del mondo.

Attraverso l'intervento diretto o indiretto, utilizzando le società multinazionali, appoggiandosi sulla corruzione delle polizie locali, prestando il suo aiuto a regimi militari fondati sulla repressione poliziesca, la tortura e la distruzione fisica dei suoi avversari, servendosi di tutte le strutture e attività alle quali è stato dato il nome di neo-colonialismo, l'imperialismo estende il suo controllo su molti popoli.

Coscienti di interpretare le aspirazioni della nostra epoca, ci siamo riuniti ad Algeri per proclamare che tutti i popoli del mondo hanno pari diritto alla libertà: il diritto di liberarsi da qualsiasi ingerenza straniera e di darsi il governo da essi stessi scelto, il diritto di lottare per la loro liberazione, nel caso fossero in condizioni di dipendenza, il diritto di essere assistiti nella loro lotta dagli altri popoli.

Convinti che il rispetto effettivo dei diritti dell'uomo implica il rispetto dei diritti dei popoli, abbiamo adottato la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli.

Che tutti coloro che nel mondo conducono, a volte con le armi in pugno, la grande lotta per la libertà di tutti i popoli trovino in questa dichiarazione la conferma della legittimità della loro lotta.



SEZIONE I  

DIRITTO ALL'ESISTENZA

Articolo 1
Ogni popolo ha diritto all'esistenza.

Articolo 2
Ogni popolo ha diritto al rispetto della propria identità nazionale e culturale.

Articolo 3
Ogni popolo ha il diritto di conservare pacificamente il proprio territorio e di ritornarvi in caso di espulsione.

Articolo 4
Nessuno, per ragioni di identità nazionale o culturale, può essere oggetto di massacro, di tortura, persecuzione, deportazione, espulsione, o essere sottoposto a condizioni di vita tali da compromettere l'identità o l'integrità del popolo a cui appartiene.



SEZIONE II  

DIRITTO ALL'AUTODETERMINAZIONE POLITICA

Articolo 5
Ogni popolo ha il diritto imprescrittibile e inalienabile all'autodeterminazione. Esso decide il proprio statuto politico in piena libertà e senza alcuna ingerenza esterna.

Articolo 6
Ogni popolo ha il diritto di liberarsi da qualsiasi dominazione colonialeo straniera diretta o indiretta e da qualsiasi regime razzista.

Articolo 7
Ogni popolo ha il diritto a un governo democratico che rappresenti l'insieme dei cittadini, senza distinzione di razza, di sesso, di credenza o di colore e capace di assicurare il rispetto effettivo dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti.



SEZIONE III  

DIRITTI ECONOMICI DEI POPOLI

Articolo 8
Ogni popolo ha il diritto esclusivo sulle proprie ricchezze e risorse naturali. Esso ha il diritto di rientrarne in possesso se ne è stato spogliato e di recuperare gli indennizzi pagati ingiustamente.

Articolo 9
Poiché il progresso scientifico e tecnico fa parte del patrimonio comune all'umanità, ogni popolo ha il diritto di parteciparvi.

Articolo 10
Ogni popolo ha diritto a che il proprio lavoro sia valutato giustamente e che gli scambi internazionali avvengano a condizioni paritarie ed eque.

Articolo 11
Ogni popolo ha il diritto di darsi il sistema economico e sociale da lui stesso scelto e di perseguire la propria via di sviluppo economico in piena libertà e senza ingerenze esterne.

Articolo 12
I diritti economici sopra enunciati devono esercitarsi in uno spirito di solidarietà tra i popoli del mondo e tenendo conto dei loro rispettivi interessi.



SEZIONE IV  

DIRITTO ALLA CULTURA

Articolo 13
Ogni popolo ha il diritto di parlare la propria lingua, di preservare e sviluppare la propria cultura, contribuendo così all'arricchimento della cultura dell'umanità.

Articolo 14
Ogni popolo ha diritto alle proprie ricchezze artistiche, storiche e culturali.

Articolo 15
Ogni popolo ha diritto a che non gli sia imposta una cultura ad esso estranea.



SEZIONE V  

DIRITTO ALL'AMBIENTE ED ALLE RISORSE COMUNI

Articolo 16
Ogni popolo ha diritto alla conservazione, alla protezione e al miglioramento del proprio ambiente.

Articolo 17
Ogni popolo ha diritto all'utilizzazione del patrimonio comune dell'umanità come l'alto mare, il fondo dei mari, lo spazio extraatmosferico.

Articolo 18
Nell'esercizio dei diritti sopra elencati, ogni popolo deve tenere conto della necessità di coordinare le esigenze del proprio sviluppo economico e quelle della solidarietà fra tutti i popoli del mondo.



SEZIONE VI  

DIRITTI DELLE MINORANZE

Articolo 19
Quando un popolo rappresenta una minoranza nell'ambito di uno stato, ha il diritto al rispetto della propria identità, delle tradizioni, della lingua, del patrimonio culturale.

Articolo 20
I membri della minoranza devono godere senza discriminazione degli stessi diritti che spettano agli altri cittadini e devono partecipare in condizioni di uguaglianza alla vita pubblica.

Articolo 21
L'esercizio di tali diritti deve realizzarsi nel rispetto degli interessi legittimi della comunità presa nel suo insieme e non può autorizzare lesioni dell'integrità territoriale e dell'unità politica dello stato, quando questo si comporti in conformità con tutti i principi enunciati nella presente Dichiarazione.



SEZIONE VII  

GARANZIE E SANZIONI

Articolo 22
Qualsiasi inosservanza delle disposizioni contenute nella presente Dichiarazione costituisce una trasgressione di obblighi verso la comunità internazionale tutta intera.

Articolo 23
Ogni pregiudizio derivante dall'inosservanza della presente Dichiarazione deve essere integralmente riparato da parte di colui che l'ha provocato.

Articolo 24
Ogni arricchimento realizzato a detrimento di un popolo in violazione delle disposizioni della presente Dichiarazione esige la restituzione dei profitti ottenuti. Lo stesso vale per tutti i profitti eccessivi realizzati attraverso investimenti di origine straniera.

Articolo 25
Tutti i trattati, accordi o contratti non paritari, approvati in spregio dei diritti fondamentali dei popoli non possono produrre alcun effetto.

Articolo 26
Gli obblighi finanziari esterni divenuti eccessivi e insopportabili per i popoli cessano di essere esigibili.

Articolo 25
Le violazioni più gravi dei diritti fondamentali dei popoli, soprattutto il loro diritto all'esistenza, costituiscono crimini internazionali che comportano la responsabilità penale individuale dei loro autori.

Articolo 28
Ogni popolo i cui diritti fondamentali sono gravemente misconosciuti ha il diritto di farli valere soprattutto attraverso la lotta politica o sindacale e anche, in ultima istanza, attraverso il ricorso alla forza.

Articolo 29
I movimenti di liberazione devono poter accedere alle organizzazioni internazionali e i loro combattenti hanno diritto alla protezione del diritto umanitario di guerra.

Articolo 30
Il ristabilimento di diritti fondamentali di un popolo, quando essi sono gravemente misconosciuti, è un dovere che si impone a tutti i membri della comunità internazionale.

lunedì 21 marzo 2011

IL MIO NOME È MAI PIÙ (Ligabue - Jovanotti - Pelù)

Io non lo so 
chi c'ha ragione e chi no 
se è una questione di etnia, di economia, 
oppure solo follia: difficile saperlo


Quello che so 
è che non è fantasia 
e che nessuno c'ha ragione e così sia.
A pochi mesi da un giro di boa per voi così moderno

C'era una volta la mia vita
c'era una volta la mia casa
c'era una volta e voglio che sia ancora

E voglio il nome di chi si impegna
a fare i conti con la propria vergogna
Dormite pure voi che avete ancora sogni, sogni, sogni.

IL MIO NOME È MAI PIÙ, MAI PIÙ, MAI PIÙ

Eccomi qua, 
seguivo gli ordini che ricevevo 
c'è stato un tempo in cui lo credevo 
che arruolandomi in aviazione
avrei girato il mondo 
e fatto bene alla mia gente 
e fatto qualcosa di importante.
In fondo... a me piaceva volare...

C'era una volta un aeroplano,
un militare americano
C'era una volta il gioco di un bambino.

E voglio i nomi di chi ha mentito
di chi ha parlato di una guerra giusta
Io non le lancio più le vostre sante bombe.

IL MIO NOME È MAI PIÙ, MAI PIÙ, MAI PIÙ

Io dico si dico si può 
saper convivere è dura già, lo so.
Ma per questo il compromesso 
è la strada del mio crescere.
E dico sì al dialogo
Perché la pace è l'unica vittoria
l'unico gesto in ogni senso 
che dà un peso al nostro
vivere, vivere, vivere.

Io dico sì, dico si può 
cercare pace è l'unica vittoria 
l'unico gesto in ogni senso
che darà forza al nostro vivere.

mercoledì 9 marzo 2011

Discorso a difesa della scuola nazionale (di Piero Calamandrei, 1950)


Cari colleghi, Noi siamo qui insegnanti di tutti gli ordini di scuole, dalle elementari alle università [...]. Siamo qui riuniti in questo convegno che si intitola alla Difesa della scuola. Perché difendiamo la scuola? Forse la scuola è in pericolo? Qual è la scuola che noi difendiamo? Qual è il pericolo che incombe sulla scuola che noi difendiamo? Può venire subito in mente che noi siamo riuniti per difendere la scuola laica. Ed è anche un po' vero ed è stato detto stamane. Ma non è tutto qui, c'è qualche cosa di più alto. Questa nostra riunione non si deve immiserire in una polemica fra clericali ed anticlericali. Senza dire, poi, che si difende quello che abbiamo. Ora, siete proprio sicuri che in Italia noi abbiamo la scuola laica? Che si possa difendere la scuola laica come se ci fosse, dopo l'art. 7? Ma lasciamo fare, andiamo oltre. Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà [...].
La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola "l'ordinamento dello Stato", sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione di creare il sangue [...].
La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall'afflusso verso l'alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l'alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società [...].
A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità (applausi). Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali.
Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione, sia pure con una formula meno immaginosa. È l'art. 34, in cui è detto: "La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi". Questo è l'articolo più importante della nostra Costituzione. Bisogna rendersi conto del valore politico e sociale di questo articolo. Seminarium rei pubblicae, dicevano i latini del matrimonio. Noi potremmo dirlo della scuola: seminarium rei pubblicae: la scuola elabora i migliori per la rinnovazione continua, quotidiana della classe dirigente. Ora, se questa è la funzione costituzionale della scuola nella nostra Repubblica, domandiamoci: com'è costruito questo strumento? Quali sono i suoi principi fondamentali? Prima di tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella dello Stato sia ottima (applausi). Vedete, noi dobbiamo prima di tutto mettere l'accento su quel comma dell'art. 33 della Costituzione che dice così: "La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi". Dunque, per questo comma [...] lo Stato ha in materia scolastica, prima di tutto una funzione normativa. Lo Stato deve porre la legislazione scolastica nei suoi principi generali. Poi, immediatamente, lo Stato ha una funzione di realizzazione [...].
Lo Stato non deve dire: io faccio una scuola come modello, poi il resto lo facciano gli altri. No, la scuola è aperta a tutti e se tutti vogliono frequentare la scuola di Stato, ci devono essere in tutti gli ordini di scuole, tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti dallo Stato, scuole pubbliche, che permettano di raccogliere tutti coloro che si rivolgono allo Stato per andare nelle sue scuole. La scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell'art. 33 della Costituzione. La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l'espressione di un altro articolo della Costituzione: dell'art. 3: "Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali". E l'art. 151: "Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge". Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni [...].
Quando la scuola pubblica è così forte e sicura, allora, ma allora soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, ma allora soltanto, la scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che forze private, iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di gruppi politici, di filosofie, di correnti culturali, cooperino con lo Stato ad allargare, a stimolare, e a rinnovare con varietà di tentativi la cultura. Al diritto della famiglia, che è consacrato in un altro articolo della Costituzione, nell'articolo 30, di istruire e di educare i figli, corrisponde questa opportunità che deve essere data alle famiglie di far frequentare ai loro figlioli scuole di loro gradimento e quindi di permettere la istituzione di scuole che meglio corrispondano con certe garanzie che ora vedremo alle preferenze politiche, religiose, culturali di quella famiglia. Ma rendiamoci ben conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di varietà, che può voler dire eterogeneità di correnti decentratrici, che lo Stato deve impedire che divengano correnti disgregatrici. La scuola privata, in altre parole, non è creata per questo.
La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta. Quindi, perché le scuole private sorgendo possano essere un bene e non un pericolo, occorre: (1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di altre. (2) Che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione. Solamente in questo modo e in altri più precisi, che tra poco dirò, si può avere il vantaggio della coesistenza della scuola pubblica con la scuola privata. La gara cioè tra le scuole statali e le private. Che si stabilisca una gara tra le scuole pubbliche e le scuole private, in modo che lo Stato da queste scuole private che sorgono, e che eventualmente possono portare idee e realizzazioni che finora nelle scuole pubbliche non c'erano, si senta stimolato a far meglio, a rendere, se mi sia permessa l'espressione, "più ottime" le proprie scuole. Stimolo dunque deve essere la scuola privata allo Stato, non motivo di abdicazione.
Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito. Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime. Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci).
Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.
Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: (1) ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. (3) Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico! Quest'ultimo è il metodo più pericoloso. È la fase più pericolosa di tutta l'operazione [...]. Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito [...].
Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo nell'art. 33 della Costituzione fu messa questa disposizione: "Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza onere per lo Stato". Come sapete questa formula nacque da un compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni sofistiche [...]. Ma poi c'è un'altra questione che è venuta fuori, che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi giuristi chiamiamo la "frode alla legge", che è quel quid che i clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge per sapere come può violare la legge figurando di osservarla [...]. E venuta così fuori l'idea dell'assegno familiare, dell'assegno familiare scolastico.
Il ministro dell'Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti Familiari, disse: la scuola privata deve servire a "stimolare" al massimo le spese non statali per l'insegnamento, ma non bisogna escludere che anche lo Stato dia sussidi alle scuole private. Però aggiunse: pensate, se un padre vuol mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino che ha già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa che lo Stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da questo doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un suo figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha un sussidio, un assegno [...].
Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? È un diritto che uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica. Per portare un paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per ottenere giustizia ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini, hanno diritto di fare decidere le loro controversie anche dagli arbitri. Ma l'arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire. Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici pubblici l'arbitrato, di rivolgersi allo Stato per chiedergli un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri! [...]. Dunque questo giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a disertare le scuole dello Stato e quindi un modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi manda i figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una certa religione, che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo partito [...].
Poi, nella riforma, c'è la questione della parità. L'art. 33 della Costituzione nel comma che si riferisce alla parità, dice: "La legge, nel fissare diritti ed obblighi della scuola non statale, che chiede la parità, deve assicurare ad essa piena libertà, un trattamento equipollente a quello delle scuole statali" [...]. Parità, sì, ma bisogna ricordarsi che prima di tutto, prima di concedere la parità, lo Stato, lo dice lo stesso art. 33, deve fissare i diritti e gli obblighi della scuola a cui concede questa parità, e ricordare che per un altro comma dello stesso articolo, lo Stato ha il compito di dettare le norme generali sulla istruzione. Quindi questa parità non può significare rinuncia a garantire, a controllare la serietà degli studi, i programmi, i titoli degli insegnanti, la serietà delle prove. Bisogna insomma evitare questo nauseante sistema, questo ripugnante sistema che è il favorire nelle scuole la concorrenza al ribasso: che lo Stato favorisca non solo la concorrenza della scuola privata con la scuola pubblica ma che lo Stato favorisca questa concorrenza favorendo la scuola dove si insegna peggio, con un vero e proprio incoraggiamento ufficiale alla bestialità [...].
Però questa riforma mi dà l'impressione di quelle figure che erano di moda quando ero ragazzo. In quelle figure si vedevano foreste, alberi, stagni, monti, tutto un groviglio di tralci e di uccelli e di tante altre belle cose e poi sotto c'era scritto: trovate il cacciatore. Allora, a furia di cercare, in un angolino, si trovava il cacciatore con il fucile spianato. Anche nella riforma c'è il cacciatore con il fucile spianato. la scuola privata che si vuole trasformare in scuola privilegiata. Questo è il punto che conta. Tutto il resto, cifre astronomiche di miliardi, avverrà nell'avvenire lontano, ma la scuola privata, se non state attenti, sarà realtà davvero domani. La scuola privata si trasforma in scuola privilegiata e da qui comincia la scuola totalitaria, la trasformazione da scuola democratica in scuola di partito.
E poi c'è un altro pericolo forse anche più grave. È il pericolo del disfacimento morale della scuola. Questo senso di sfiducia, di cinismo, più che di scetticismo che si va diffondendo nella scuola, specialmente tra i giovani, è molto significativo. È il tramonto di quelle idee della vecchia scuola di Gaetano Salvemini, di Augusto Monti: la serietà, la precisione, l'onestà, la puntualità. Queste idee semplici. Il fare il proprio dovere, il fare lezione. E che la scuola sia una scuola del carattere, formatrice di coscienze, formatrice di persone oneste e leali. Si va diffondendo l'idea che tutto questo è superato, che non vale più. Oggi valgono appoggi, raccomandazioni, tessere di un partito o di una parrocchia. La religione che è in sé una cosa seria, forse la cosa più seria, perché la cosa più seria della vita è la morte, diventa uno spregevole pretesto per fare i propri affari. Questo è il pericolo: disfacimento morale della scuola. Non è la scuola dei preti che ci spaventa, perché cento anni fa c'erano scuole di preti in cui si sapeva insegnare il latino e l'italiano e da cui uscirono uomini come Giosuè Carducci. Quello che soprattutto spaventa sono i disonesti, gli uomini senza carattere, senza fede, senza opinioni. Questi uomini che dieci anni fa erano fascisti, cinque anni fa erano a parole antifascisti, ed ora son tornati, sotto svariati nomi, fascisti nella sostanza cioè profittatori del regime.
E c'è un altro pericolo: di lasciarsi vincere dallo scoramento. Ma non bisogna lasciarsi vincere dallo scoramento. Vedete, fu detto giustamente che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media italiana, perché quei ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso, uscivano dalle nostre scuole e dai nostri licei e dalle nostre università. Però guardate anche durante la Liberazione e la Resistenza che cosa è accaduto. È accaduto lo stesso. Ci sono stati professori e maestri che hanno dato esempi mirabili, dal carcere al martirio. Una maestra che per lunghi anni affrontò serenamente la galera fascista è qui tra noi. E tutti noi, vecchi insegnanti abbiamo nel cuore qualche nome di nostri studenti che hanno saputo resistere alle torture, che hanno dato il sangue per la libertà d'Italia. Pensiamo a questi ragazzi nostri che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non disperiamo dell'avvenire. Siamo fedeli alla Resistenza. Bisogna, amici, continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della coscienza morale.

martedì 8 marzo 2011

LO AVRAI (di Piero Calamandrei)

LO AVRAI 
CAMERATA KESSELRING 
IL MONUMENTO CHE PRETENDI DA NOI ITALIANI 
MA CON CHE PIETRA SI COSTRUIRÀ 
A DECIDERLO TOCCA A NOI 

NON COI SASSI AFFUMICATI DEI BORGHI INERMI STRAZIATI DAL TUO STERMINIO 
NON COLLA TERRA DEI CIMITERI 
DOVE I NOSTRI COMPAGNI GIOVINETTI RIPOSANO IN SERENITA' 
NON COLLA NEVE INVIOLATA DELLE MONTAGNE 
CHE PER DUE INVERNI TI SFIDARONO
NON COLLA PRIMAVERA DI QUESTE VALLI 
CHE TI VIDE FUGGIRE 

MA SOLTANTO COL SILENZIO DEI TORTURATI
PIU' DURO D'OGNI MACIGNO
SOLTANTO CON LA ROCCIA DI QUESTO PATTO 
GIURATO FRA UOMINI LIBERI 
CHE VOLONTARI SI ADUNARONO 
PER DIGNITA', NON PER ODIO 
DECISI A RISCATTARE 
LA VERGOGNA E IL TERRORE DEL MONDO 

SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE 
AI NOSTRI POSTI CI RITROVERAI 
MORTI E VIVI COLLO STESSO IMPEGNO 
POPOLO SERRATO INTORNO AL MONUMENTO 
CHE SI CHIAMA 
 ORA E SEMPRE RESISTENZA



Piero Calamandrei


Il testo è tratto dalla lapide gettata da Piero Calamandrei per la città di Cuneo in risposta all'affermazione di Kesselring già comandante delle truppe tedesche in Italia (1943-1945): "Gli italiani dovranno farmi un monumento"