lunedì 3 settembre 2012

Rachel Corrie: una sentenza che uccide giustizia e verità


Rachel Corrie il 16 marzo 2003 fu schiacciata da un bulldozer israeliano mentre si opponeva alla demolizione delle case palestinesi nella Striscia di Gaza.

La corte israeliana assolve ora il criminale di guerra che l'ha uccisa, sostenendo che l’assassinio è stato un incidente.
"È un giorno triste per l’umanità, per i Corrie, per i Palestinesi, per tutti gli uomini di coscienza al mondo
Questa ultima e largamente attesa assoluzione del tribunale israeliano sottolinea quello che il Rapporto Goldstone delle Nazioni Unite ha dimostrato dopo il massacro a Gaza nel 2008-09. Con riferimento ai “vizi strutturali” del cosiddetto sistema giudiziario israeliano, il rapporto conclude che Israele non può essere considerato affidabile nell’amministrare la giustizia secondo gli standard internazionali.[Goldstone Report, paragrafo 1756]
Precisamente! In casi così numerosi da non poterli qui elencare, i tribunali israeliani hanno raramente emesso una sentenza contro i criminali ebrei-israeliani per l’assassinio o per il ferimento di palestinesi o per la distruzione deliberata delle loro proprietà. Secondo l’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din:
“… il 91% delle inchieste (da parte della polizia israeliana nei TPO) su crimini commessi da israeliani contro palestinesi e le loro proprietà sono chiuse senza rinvii a giudizio. L’84% delle inchieste sono chiuse perché gli investigatori non riescono a individuare i sospetti e le prove. … I rinvii a giudizio sono meno del 3% di questi casi.”
Anche nel 1996, nel momento di punta del cosiddetto “processo di pace,” un colono israeliano uccise con un colpo di pistola un bambino palestinese di 11 anni, Hilmi Shusha, vicino Betlemme, senza una ragione apparente. Un giudice israeliano prima assolse l’assassino dicendo che il bambino “era morto per suo conto come risultato di una pressione emozionale”. Dopo numerosi appelli e sotto la pressione della Corte Suprema che aveva definito l’atto “assassinio leggero”, il giudice riconsiderò e, mentre infuriava l’Intifada, condannò l’assassino a sei mesi di servizio in una comunità e a una multa di poche migliaia di dollari. Il padre del ragazzo accusò la corte di aver emesso una “licenza di uccidere.” [Reuters, January 22, 2001; Phil Reeves, "Fury as court frees settler, The Independent, January 22, 2001]
Gideon Levy su Haaretz descrisse allora la multa come la “fine della stagione” del prezzo da pagare per le vite dei bambini palestinesi, facendo riferimento alle risultanze di B’tselem, una organizzazione israeliana in difesa dei diritti umani, che ha documentato decine di casi simili nei quali i responsabili furono o assolti o ricevettero una tiratina di orecchie. [Gideon Levy, Haaretz, January 28, 2001]
Aggiungendo un insulto all’ingiuria, il giudice israeliano complice, in questo caso, ha insinuato che Rachel non era una “persona pensante”, a causa del suo eroico e nonviolento tentativo di contrastare un indiscutibile crimine di guerra.
Dato che i tribunali israeliani, come le loro controparti israeliane durante l’apartheid, sono state sistematicamente e in modo consistente un pilastro effettivo dell’occupazione, del colonialismo e dell’apartheid israeliani, i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità israeliani devono essere perseguiti di fronte a tribunali internazionali dove la giustizia abbia una chance di vedere un giorno la luce.
Tutto questo dovrebbe anche convincere tutti coloro che ancora hanno bisogno di essere convinti che senza una efficace campagna di boicottaggio (BDS) contro Israele, questo stato non rispetterà mai il diritto internazionale. Questa è la lezione del Sudafrica."
Omar Barghouti, BNC, Comitato Nazionale palestinese per il boicottaggio di Israele

mercoledì 22 agosto 2012

22 agosto: Overshoot day

lo scorso anno era stato il 27 settembre, è evidente che non si sta cambiando rotta...


COMUNICATO STAMPA

L'Overshoot Day è una ricorrenza internazionale che è utilissima per chiedere un cambiamento radicale nel modo di fare economia: non più crescita per la crescita ma riconversione ecologica dell'economia. 

Contact: Global Footprint Network

Communications Manager   Scott Mattoon  (510) 839-8879 x 302   scott@footprintnetwork.org

Communications Coordinator  Ryan Van Lenning (510) 839-8879 x 320  ryan@footprintnetwork.org

Per informazioni in Italia : 

Roberto Brambilla   r.brambilla@mclink.it www.retecivicaitaliana.it    cell 338 88 03 715 uff 039 988 10 21 twitter @Roberto_Brambil

(OAKLAND, CA, USA) — 22 agosto 2012 — L'umanità ha superato il budget a disposizione per questo anno e ora sta operando in una situazione di sovraconsmo, secondo I dati forniti dal Global Footprint Network, una organizzazione internazionale di ricerca con sedi in California e Europa. 


L'Earth Overshoot Day (da una idea concepita da un comitato di esperti inglese new economics foundation) aiuta a capire il divario tra ciò che la natura può rigenerare, e quanto è richiesto per sostenere le attività umane. Come una banca con l'estratto conto tiene nota delle entrate e delle uscite, così il Global Footprint Network tiene nota della domanda dell'umanità rapportata all'ammontare delle risorse naturali e dei servizi ecologici. I calcoli del Global Footprint Network mostrano che in poco meno di otto mesi, abbiamo esaurito le risorse e la capacità di neutralizzare CO2che il pianeta è in grado di fornire in un anno in maniera sostenibile. 

Per il resto dell'anno, noi sosterremo il nostro deficit ecologico dando fondo alle riserve naturali e accumulando anidride carbonica nell'atmosfera. 

Varie nazioni del mondo hanno iniziato a sperimentare dolorosamente cosa significa spendere di più di ciò che si guadagna” ha detto Mathis Wackernagel, Presidente del Global Footprint Network. “La pressione sulle risorse è simile a quell'eccesso di spesa finanziaria e può diventare devastante. Conil deficit di risorse che diventa grande e il prezzo delle risorse cherimane alto, il costo per le nazioni diventa insopportabile.

La nostra “sovra spesa ecologica” è diventata un circolo vizioso,con cui erodiamo sempre di più il capitale mentre il nostro livello di consumo, o di spesa, cresce. I costi sociali ed economici potrebbero essere spaventosi. 

Dai prezzi dei combustibili fossili che spiccano il volo ai zoppicanti debiti delle nazioni in parte dovuti ai crescenti prezzi delle risorse naturali, le nostre economie si stanno confrontando con la realtà dovuta ad anni di spese superiori ai nostri mezzi. “Se vogliamo mantenere società stabili e livelli di vita soddisfacenti, non possiamo sostenere più a lungo una situazione caratterizzata da un sempre maggior divario tra ciò che la natura è capace di fornirci ogni anno in modo sostenibile e ciòdi cui le nostre infrastrutture, economie e stili di vita hanno bisogno” ha detto Mathis Wackernagel. 

Per la maggior parte della nostra storia, l'umanità ha usato I “servizi” della natura – per costruire città e strade, approvvigionarsi di cibo e creare prodotti, assorbire la CO2generata - ad una velocità che era ben al di dentro delle capacità della Terra, ma a un certo momento, negli anni '70 , abbiamo oltrepassato una soglia critica. La domanda dell'umanità ha superato di gran lunga ciò che il pianeta può produrre in maniera rinnovabile ed è quindi caduta nel sovra consumo ecologico (overshoot).

Oggi l'umanità sta usando l'equivalente di poco più di 1,5 volte il valore delle risorse e dei servizi ecologici del pianeta. Se l'attuale andamento continua senza cambiamenti, siamo sulla strada di richiedere le risorse di due pianeti per la metà di questo secolo. 

L'Overshoot Ecologico e l'Economia Globale

Sebbene la recessione globale che iniziò nell'Ottobre 2008 ha fatto rallentare la domanda dell'umanità relativa a risorse e assorbimento di CO2, il nostro consumo è tuttora in crescita. Per invertire veramente gli andamenti senza il rischio di generare una flessione economica più grande, ilimiti delle risorse dovrebbero stare al centro dell'attenzione dei processi decisionali. L'attuale andamento delle risorse non può accordarsi con I bisogni di una popolazione, tuttora crescente, di 7 miliardi di persone. Circa due miliardi di persone non hanno accesso alle risorse per soddisfare I bisogni di base. Non appena milioni di persone delle economie emergenti entrano nella “classe media”, il nostro consumo di risorse e il deficit ecologico mondiale può solo aumentare. 

L'impronta ecologica della Cina – cioè, la sua domanda di risorse naturali e di servizi – è la più grande del mondo, anche se l'impronta pro capite resta modesta. Sebbene la sua economia cresca e il popolo prosperi, tuttavia, la popolazione della Cina e il crescente consumo pro capite avrà un sempre più grande impatto sul deficit ecologico del mondo. Ma vediamo come gli andamenti del consumo delle singole nazioni influiscono sull'overshoot globale: la domanda pro capite degli Stati Unitiè equivalente alla produzione di più di quattro pianeti Terra e se tutta l'umanità consumasse a quel livello saremmo andati in overshoot il 28 marzo. La domanda dell'Italia è pari alla produzione di due Terre e mezza e, similmente, saremmo andati in overshoot il 23 maggio. La domanda pro capite del Brasile richiede le risorse di poco meno di due Terre e quindi l'overshoot sarebbe avvenuto il 6 luglio. In Qatar, il cittadino medio richiede le risorse di cinque Terre. 

Nel corso degli ultimi anni, crisi finanziarie, disordini civili e le catastrofi ambientali hanno scosso diverse nazioni. L'Earth Overshoot Day ci manda un serio richiamo circa i rischi legati agli eccessi di spesa ecologica, non solo per l'umanità nel suo insieme, ma per le nazioni,le città e le imprese, il cui successo a lungo termine e la stabilità dipendono da un accesso durevole alle risorse naturali e da un loro consumo sostenibile.

È possibile cambiare il corso e invertire le tendenze attuali di consumo. Il Global Footprint Network e la sua rete di partner stanno lavorando con le organizzazioni, i governi e le istituzioni finanziarie in tutto il mondo per prendere decisioni che siano allineate con la realtà ecologica, decisioni che possano contribuire a colmare il deficit del bilancio ecologico e portare ad un futuro prospero a dispetto del mutevole e impegnativo andamento delle risorse,

Ora è tempo di trovare nuovi modi di gestire le nostre economie che possano continuare a funzionare in futuro” ha detto Mathis Wackernagel “Un recupero a lungo termine avrà successo solo se avviene grazie a una sistematica riduzione della nostra domanda di risorse e di servizi degli ecosistemi.”

Organizzazioni in tutto il mondo daranno rilievoall' Earth Overshoot Day con eventi per aumentarela consapevolezza circa il sovraconsumo ecologico dell'umanità. Global Footprint Network ospiterà unaTweet Chat su Twitter (@EndOvershoot) usando l' hashtag #OvershootDay alle 8am, 1pm, and 6pm (Pacific Standard Time) del 22 Agostoper discutere l'Overshoot ecologico e come si calcola l'Impronta ecologica. 

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Il Global Footprint Network è una organizzazione internazionale di ricerca impegnata a portare al centro dei processi decisionali i tema dei limiti ecologici proponendo l'uso dell'impronta ecologica, uno strumento per la gestione delle risorse che misura quanta natura abbiamo, quanta ne usiamo, e chi usa cosa. 


Per sapere di più circa l'Earth Overshoot Day, andare su: 

http://www.footprintnetwork.
org/en/index.php/GFN/page/earth_overshoot_day/


Per calcolare la vostra impronta ecologica personale e sapere come potete ridurla andare su 

http://www.footprintnetwork.
org/calculator

martedì 22 maggio 2012

Gli insegnamenti della Coppa America di Saverio Pastor e Giuliana Longo


Gli insegnamenti della Coppa America

Ringraziamo Alberto Sonino per il coraggio dimostrato nel proporre a Giorgio Orsoni di portare a Venezia questa tappa dell’America’s Cup. Quindi ringraziamo anche il Sindaco e l’Amministrazione per essere riusciti ottimamente in questa impresa.
E’ stata una grande occasione per noi veneziani: abbiamo imparato che l’Arsenale si può con successo aprire alla città ed abbiamo avuto la conferma che per elezione il suo ruolo principe può ben continuare ad essere legato alla nautica.
Abbiamo visto Venezia tornare capitale della civiltà dell’acqua e migliaia di persone assieparsi su rive, ponti e, ancor meglio, sulle barche per assistere ad eventi sportivi comunque misteriosi ai più.
Abbiamo visto che il Bacino San Marco può essere interdetto al traffico anche per un consistente lasso di tempo.
Abbiamo appreso che le nostre barche a vela al terzo, armate con rispetto delle tradizioni, sono affascinanti anche per i campioni della vela più tecnica.
Abbiamo ammirato gli esercenti ravvivare una delle vie più belle della città con una memorabile tavolata imbandita con le specialità della nostra cucina più tipica.
Abbiamo visto con emozione la flottiglia di catamarani venire incontro al grande corteo a remi della Sensa: la marineria tipica e tradizionale salutata dal massimo della tecnica e modernità della vela.
Quindi d’ora in poi vogliamo tornare, come cittadini, sulle nostre rive ed in Arsenale ad ammirare eventi nautici e sulle nostre barche, magari in legno e con vela al terzo, a vivere la laguna; torneremo in calle ed in campo organizzando tra vicini tavole imbandite. Vogliamo vedere ancora le acque del Bacino e della laguna rispettate e ripulite da traffico e moto ondoso. Con i nostri cortei andremo incontro e faremo un bell’alzaremi a tutti coloro che dimostreranno amore per la città e la laguna.
Certamente America’s Cup ha beneficiato in immagine ma è questo uno sfruttamento che possiamo accettare, perché a impatto zero e perché proiezione nel futuro di ciò che Venezia è stata: marineria pura.
Altri sono gli sfruttamenti inaccettabili: i maxicartelloni pubblicitari sui cantieri (quello di Prada sulla Zecca francamente inopportuno), le maxinavi a 10/15 ponti, il turismo in infradito vomitato da centinaia di granturismo indifferenti al moto ondoso provocato.

Saverio Pastor
Giuliana Longo

artigiani

lunedì 5 marzo 2012

No Tav, il rito funebre dell'autorità dello Stato di Michela Murgia - 1 Marzo 2012

Mandare le forze dell'ordine in tenuta anti-sommossa a manganellare chi esprime il suo dissenso non è un esercizio di autorità, ma l'ammissione pubblica di averla definitivamente perduta insieme al diritto di pretenderla. I fatti della Val di Susa, in questo senso, segnano uno spartiacque

Riporto anche qui un editoriale scritto per il numero di marzo di E-il mensile di Emergency, da qualche giorno in edicola. Alla luce dei fatti di questi ultimi giorni, ribadisce quello che penso del modo in cui lo Stato italiano ha scelto di affrontare la sacrosanta protesta popolare contro l'inutile opera della TAV. Solidarità totale ai valsusini in lotta per difendere il loro territorio.

L'estate scorsa lo Stato - non il governo, ma proprio lo Stato - ha permesso che in Val di Susa si celebrasse a suon di manganelli il rito funebre della propria autorità. Si è sbagliato tre volte. Il primo errore è stato credere che si potesse rubricare come cronaca locale la protesta della gente del movimento NoTav, in prevalenza giovani, anziani e famiglie che con i loro sindaci quel giorno marciavano in pace contro le ruspe. Il secondo errore è la modalità violenta con cui le forze dell'ordine hanno scelto di relazionarsi con quel dissenso, segnando una svolta definitiva nel registro di gestione dei rapporti tra le istituzioni governative e le proteste popolari in Italia, tutte. Il terzo errore si è compiuto nelle scorse settimane, quando le conseguenze di quei fatti sono proseguite fino all'arresto di 23 attivisti del movimento, con capi di imputazione che vanno dalla violenza alla resistenza a pubblico ufficiale. Si tratta di un atto giudiziario che, al di là delle appurabili responsabilità personali, è stato interpretato dalla popolazione resistente della Val di Susa come una risposta formale delle istituzioni all'intero movimento NoTav, che suona alle loro orecchie più o meno così: "badate che, se si arriva allo scontro definitivo, noi abbiamo i mezzi per imporci e voi non avete quelli per opporvi senza rinunciare alla legalità".

La percezione di questo messaggio ha trasformato la lotta dei NoTav in una battaglia simbolica che interessa tutte le forme di resistenza popolare che in Italia stanno agendo in forma organizzata contro decisioni statali ritenute lesive per i territori e chi li abita. I manganelli in Val di Susa hanno reso chiaro che non è più possibile ignorare la frattura tra la volontà dello Stato e le volontà della popolazione, non fosse altro perché - dagli studenti alle partite iva, dai forconi siciliani ai pastori sardi - quella frattura sta portando in strada sempre più persone, sebbene con diversa fondatezza, chiarezza e talvolta anche legittimità.

La questione della Val di Susa in questo scenario magmatico è un paradigma, perché è il solo caso in cui la violenza sia emersa forzatamente dopo anni di resistenza - per quanto inflessibile, comunque pacifica. I NoTav non possono rinunciare alla legalità per far valere le proprie ragioni, perché significherebbe perdere quell'autorevolezza etica che sin dall'inizio ha smosso il consenso popolare intorno alle ragioni del movimento, facendo sorgere solidarietà anche da molto oltre i confini territoriali del futuribile tracciato ferroviario dell'alta velocità. Ma la forza dei NoTav sta tutta dentro a un paradosso: nei sistemi democratici il tipo di autorevolezza sociale di cui il movimento dispone dovrebbe in realtà essere un patrimonio morale dello Stato, in quanto incarnazione strutturale dell'autorità collettiva; ma cosa può succedere quando quel deposito di consenso tacito comincia ad appartenere proprio a chi contesta le decisioni dello Stato?

L'esercizio di dell'autorità etica funziona solo se è retto da una relazione di reciproco riconoscimento tra due soggetti con ruoli chiari: questa è la base della pace sociale ed è in virtù di questo che gli atti di autorità per loro stessa natura non dovrebbero incontrare alcuna opposizione da parte di coloro ai quali sono diretti. Dato per buono il fatto che in una democrazia c'è sempre la possibilità teorica di opporsi, deve esistere da parte della popolazione la rinuncia cosciente e volontaria a servirsene: è solo questa rinuncia che consente allo Stato di essere normativo. In questa dialettica l'uso della forza non solo non è previsto, ma è proprio escluso, perché contraddittorio.

Quando uno Stato deve usare la forza contro i suoi stessi cittadini - come è accaduto con le proteste popolari NoTav - significa che questo meccanismo è andato in frantumi. Mandare le forze dell'ordine in tenuta anti-sommossa a manganellare chi esprime il suo dissenso non è un esercizio di autorità, ma l'ammissione pubblica di averla definitivamente perduta insieme al diritto di pretenderla. I fatti della Val di Susa segnano uno spartiacque proprio perché rivelano con chiarezza come in questo paese il patto di riconoscimento reciproco tra il diritto dello Stato a imporsi e la rinuncia delle popolazioni a opporsi sia venuto meno in maniera clamorosa, insinuando in un numero sempre maggiore di persone la certezza che la difesa del bene comune non possa passare, né ora né mai più, dalle mani che stringono il manico di un manganello.