venerdì 29 aprile 2011

Il male minore e il bene maggiore

Qualcuno in questi giorni dice che la guerra è il male minore. L'ho sentito dire ai tempi della guerra nella ex-Jugoslavia e ripetere ai tempi della guerra in Afganistan e ai tempi della guerra in Iraq e oggi ribadirlo per la guerra in Libia.
E io ogni volta di più mi convinco che la guerra non è mai il "male minore" ma è sempre solo il male. E la pace invece sarebbe il "bene maggiore".

giovedì 28 aprile 2011

Da La Russa con orrore...

Leggo le dichiarazioni del nostro ministro della guerra: "Quello in Libia non sarà un bombardamento ma un lancio di missili". E mi sento offeso. E' una offesa all'intelligenza dei cittadini. E' volgarità. Il ministro è riuscito ad andare oltre gli ossimori della "guerra giusta" e della "guerra umanitaria".
Per fortuna "l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo" (Costituzione, art. 11)

martedì 26 aprile 2011

Nel giorno del 25esimo anniversario del disastro nucleare di Chernoby

Sulla questione del referendum sul nucleare se c'è una cosa che mi dà particolarmente fastidio sono le parole del ministro Romani ”I cittadini sarebbero stati chiamati a scegliere tra poche settimane tra un programma di fatto superato e una rinuncia definitiva sull’onda dell’emozione, assolutamente legittima, dopo l’incidente di Fukushima, senza pero’ avere sufficienti elementi di chiarezza”. Sull'onda dell'emozione?!?! Senza elementi di chiarezza?!?! Ma scherziamo?!? Credo che tutto si possa dire tranne che non ci sia razionalità dietro le motivazione della scelta di fermare il nucleare. Motivi che posso essere di carattere economico (i costi delle centrali nucleari e dell’energia prodotta), di carattere ambientale e di sicurezza (i rischi e il pericolo di contaminazione dell’ambiente e la questione delle scorie radioattive oltre ovviamente al rischio incidenti), di sostenibilità (lo sviluppo delle rinnovabili e l'efficienza energetica). A tal proposito suggerisco di leggere i "7 punti sul nucleare" di Massimo Scalia molti utili da tenere a mente se vi capita di intavolare qualche discussione con chi sostiene le tesi nucleariste... se qualcuno ha l'indirizzo email del ministro Romani potrebbe inoltrarglieli...

domenica 24 aprile 2011

"Odio gli indifferenti" di Antonio Gramsci

Odio gli indifferenti. 


Credo, come Federico Hebbel, che "vivere vuol dire essere partigiani". Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. 
Perciò odio gli indifferenti.

L'indifferenza è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.

L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. 


Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.


I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.

Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. 


Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.

Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

venerdì 15 aprile 2011

Restiamo Umani

Addio Vik Utopia.


"Guerriglia alla prigionia dell'Informazione. Contro la corruzione dell'industria mediatica, il bigottismo dei ceti medi, l'imperdonabile assopimento della coscienza civile. La brama di Verità prima di ogni anelito, l'abrasiva denuncia, verso la dissoluzione di ogni soluzione precostituita, L'infanticidio di ogni certezza indotta. La polvere nera della coercizione entro le narici di una crisi di rigetto. L'abbuffata di un pasto nudo, crudo amaro quanto basta per non poter esser digerito"


http://guerrillaradio.iobloggo.com/




giovedì 14 aprile 2011

Chi muore (Ode alla Vita) di Pablo Neruda

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e non cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Lentamente muore chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i", piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non legge, chi non viaggia, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.

Lentamente muore chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare, chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità...

mercoledì 13 aprile 2011

"Ma non è vero che i neri puzzano!"

Quel giorno Aziz non doveva lavorare, niente borse, niente fughe dalla guardia di finanza, niente litigi con i gondolieri divenuti ormai un triste rituale quotidiano.
Aziz aveva la passione per i profumi. Anche quando non aveva i soldi per comprarli se ne entrava in qualche profumeria e con la scusa di chiedere informazioni per un eventuale acquisto si profumava usando le boccette di test.
Fin da bambino, in Senegal, aveva sempre amato i profumi anche se lì erano profumi diversi e ora quasi  stentava a ricordarli. Gli mancavano la sua terra e i suoi profumi.
Quel giorno Aziz non doveva lavorare. Si alzò con calma, si mise i vestiti della festa e uscì.
In autobus era seduto vicino una anziana signora e una mamma con il suo bambino.
Ad Aziz piacevano i bambini forse un giorno si sarebbe fatto una famiglia. Sognava di avere tanti figli come suo padre e prima suo nonno e prima... Quante volte la memoria lo riportava alla sua terra, alla sua famiglia, alla sua storia!
Il bambino era vivace e continuava a colpire Aziz con i suoi instancabili piedini. La mamma lo rimproverava ma Aziz disse: ”Signora, non si preoccupi, a me piacciono i bambini”. Il piccolo sorrise ad Aziz e gli si avvicinò cominciando ad annusarlo. "Che gioco mai sarà questo" penso Aziz "non mi era ancora capitato da quando sono in Italia che un bambino mi annusasse...". Mentre ancora formulava questi pensieri il bimbo, con espressione visibilmente stupita, si rivolse alla madre: "Mamma, ma non è vero che i neri puzzano!"
E da qui che comincia la discriminazione. E da qui che comincia il razzismo.

(liberamente ispirato a ciò che è successo ad Aziz su un autobus ACTV a Mestre, 2011)

martedì 12 aprile 2011

Richieste di asilo politico 2010 (Rapporto EUROSTAT)

In questi tempi in cui l'informazione viene manipolata ed usata a seconda di interessi personali più o meno legittimi (e tra i vari temi "caldi" di oggi c'è il ruolo e la relazione dell'Italia con l'Europa), mi sembra molto utile avere in testa dei dati oggettivi sulle richieste di asilo (premesso che qualsiasi immigrato, regolare o meno, è prima di tutto un essere umano al quale vanno riconosciuti tutti i diritti). 

A tal proposito è uscito da pochi giorni il rapporto sulle richieste d'asilo (pubblicato il 29 marzo da EUROSTAT). 
Secondo tale rapporto sono state registrate nel 2010 nell'Unione europea in totale 257.815 richieste di asilo. 
I Paesi da cui è stato ricevuto il maggior numero di richieste sono, nell'ordine, Afghanistan, Russia e Serbia. 
Il paese che ha ricevuto il più alto numero di richieste è stata la Francia (51.595), seguita da Germania (48.490), Svezia (31.875), Belgio (26.130) e Gran Bretagna (23.715).

In Italia, le richieste sono state 10.050, e i paesi di maggior provenienza sono nell'ordine Nigeria (14%), Pakistan (9%) e Afghanistan. 
In rapporto alla popolazione, il numero di richieste presentate in Italia è particolarmente basso in confronto agli altri Paesi dell'UE. Nel nostro Paese sono state presentate 165 richieste per ogni milione di abitanti, mentre a Cipro il rapporto è di 3.600 domande per milione di abitanti, in Svezia di 3.400 e in Belgio di 2.400. Negli altri grandi Paesi UE il rapporto è di 1.320 richieste in Austria, 795 in Francia, 595 in Germania e 380 nel Regno Unito.

Quanto all'approvazione delle richieste, nel 2010 sono state 222.105 a livello UE, di cui 167.010 (75%) respinte e 55.095 accettate. Di queste 27.000 candidati (12%) hanno ottenuto lo status di rifugiato, 20.400 (9%) la protezione sussidiaria e 7.600 (3%) hanno ottenuto l'autorizzazione a soggiornare per motivi umanitari.
In Italia, su un totale di 11.325 richieste giudicate, 7.015 sono state respinte e 4.305 approvate (1.615 sullo status di rifugiato politico, 1.465 per la protezione sussidiaria e 1.225 per ragioni umanitarie).

Va ricordato che le decisioni prese nel 2010 possono essere di richieste registrate negli anni precedenti. Se la percentuale di decisioni positive varia considerevolmente tra gli Stati dell'UE, va comunque tenuto presente che il paese di origine dei richiedenti differisce anche notevolmente tra gli stessi Stati.

lunedì 11 aprile 2011

PRECARIO MONDO di Ascanio Celestini

Un operatore di call center mi dice che qualche anno fa viveva al centro di Roma, divideva l’affitto con un amico e aveva tempo per suonare e andare in tournée. Si considerava un musicista e utilizzava il call center come sponda. Adesso sta in periferia con tre studenti, lavora full time per sopravvivere, non ha più tempo per suonare e comunque anche la richiesta di concerti è diventata così striminzita che non ci camperebbe. Mi dice “ho quasi cinquant’anni, non ho una famiglia e va a finire che torno a vivere con mia madre”. Allora dov’è la precarietà? Non è solo un problema di stage non pagati, di assunzioni a tempo determinato, di lavoro nero e licenziamenti facili. Mille e cinquecento euro al mese basterebbero se una famiglia ne pagasse duecento d’affitto. Basterebbero se una donna e un uomo avessero la certezza di lavorare fino al giorno della pensione. Basterebbero se il figlio di un operaio studiasse in una classe con meno di venti bambini, ricevesse una vera formazione che comprendesse le lingue straniere e la musica, la storia contemporanea e il teatro… Basterebbero se quella famiglia avesse attorno una comunità che la sostiene, un servizio sanitario che la cura quando sta male.


E invece l’operaio che pensava di essere assunto a tempo indeterminato vede in televisione un padrone col maglioncino che gli sfila i diritti da sotto i piedi, il sindaco (sedicente di sinistra) che va a giocarci a scopetta e prega il proprio partito di affiancarsi alla battaglia padronale. Porta il figlio in una scuola dove i suoi compagni sono così tanti che la maestra ci mette un mese per imparare i nomi, una scuola che funziona solo per l’impegno degli insegnanti che non hanno ancora mollato, che non sono ancora scoppiati per l’umiliazione continua alla quale sono esposti.

Un lavoratore è precario non solo per la precarietà del suo lavoro, ma soprattutto perché sono precari la scuola, la casa, l’assistenza sanitaria, i trasporti, l’informazione, la cultura, il cibo che mangia e l’acqua che beve, l’energia che consuma e i vestiti che indossa.

Invece io dico che la scuola è solo pubblica. Dico che la scuola privata è una questione privata, un’azienda che deve prendere due lire solo in quel paesino di montagna dove non è ancora stata costruita quella statale. Dico che accettare oggi una riduzione dei diritti in fabbrica significa che domani quei diritti si ridurranno ancora di più. Dico che se un lavoratore accetta di lavorare per uno stipendio ridicolo non fa solo una scelta personale, ma sta costringendo tutti gli altri ad essere sottopagati, così come un lavoratore che sciopera e ottiene il riconoscimento di un diritto, lo fa anche per quello che entra. Dico che seicento euro d’affitto per un monolocale seminterrato in periferia (c’era il cartello nella piazza della mia borgata fino a poche settimane fa) è un furto e quando la casa non si trova: la si occupa.
Dico che se acquisto un paio di scarpe sottoprezzo sto sfruttando un operaio e se compro a mio figlio un pallone cucito da un bambino della sua età dall’altra parte del mondo sono peggio di un pedofilo. Dico che se prendo l’acqua da bere al supermercato e uso quella potabile che esce dal mio rubinetto per lo sciacquone del cesso sono un pazzo pericoloso. Dico che non sono un uomo moderno se accetto la devastazione di una valle per farci passare un treno veloce che impiega un’ora di meno per portarmi in Francia: sono un criminale.
Penso a una donna del trentino che va al supermercato a comprare un chilo di mele cilene. Se quelle mele costano meno di quelle coltivate sotto casa sua è evidente che in Cile c’è un contadino sfruttato e uno del trentino che resta disoccupato, un aereo che inquina inutilmente l’oceano e una piccola frutteria che chiude.

Il lavoro era precario vent’anni fa. Oggi è la nostra visione del mondo ad essere precaria.

Io non cerco voti per le prossime elezioni, né tessere per la prossima campagna di tesseramento. Non ho bisogno di carne da macello per la prossima guerra umanitaria o vittime del destino per il prossimo terremoto. Non scendo in piazza per un lavoro a tempo indeterminato o per qualche centesimo che il ministero della cultura succhia dai serbatoi della benzina. Non voglio mettere all’ordine del giorno del prossimo consiglio dei ministri o del prossimo talk show, del prossimo monologo teatrale o della prossima canzonetta il solito discorso del giovane sottopagato o disoccupato.

Io dico che questo sistema violento mi fa paura e so che per liberarcene dobbiamo pacificamente far paura al sistema.

Ascanio Celestini, il manifesto, sabato 9 aprile 2011

Per la difesa dei beni comuni: la città. Il Decalogo di Italia Nostra

1) La città è un bene comune e deve garantire gl’interessi collettivi.
2) Moratoria generalizzata sulle nuove urbanizzazioni per rigenerare città e campagna
3) Ripristino della legalità: no ai condoni, no ai piani casa.
4) No a strumenti che vanificano la pianificazione ed esclusione dell’iniziativa privata.
5) Ripristino della destinazione originaria degli oneri di urbanizzazione.
6) Rilancio della pianificazione paesaggistica.
7) Riaffermazione della tutela dell’identità culturale e dell’intergrità fisica.
8) Recupero delle immense periferie degradate cresciute negli ultimi decenni.
9) Mobilità sostenibile ed integrata. Incentivazione del trasporto pubblico.
10) Partecipazione di cittadini ed associazioni alle scelte urbanistiche.

martedì 5 aprile 2011

Costituzione repubblica italiana, art. 35

"La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.
Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero"
[Art. 35, Costituzione repubblica italiana, 1 gennaio 1948)

Quest'ultima parte dell’articolo 35 mi sembra da un lato straordinariamente attuale ma al contempo bisognosa di essere resa viva e concreta proprio nei giorni in cui continua purtroppo a trionfare la sterile retorica - con fini squisitamente elettorali - che tende a distinguere tra migranti di serie A (“richiedenti asilo”) e migranti di serie B (“clandestini”).
A parte il fatto che fino allo scorso anno dai nostri porti e dalle nostre coste si rimandavano indietro (nelle mani di aguzzini libici) proprio quelle persone che oggi governo e mass media inseriscono nella categoria dei richiedenti asilo.
A parte il fatto che i respingimenti di massa, proprio perché di massa, non consentivano e non consentono di analizzare e verificare ciascun singolo caso come previsto e richiesto dalla legislazione internazionale, europea e italiana.
A parte il fatto che molti politici (e giornalisti) dovrebbero astenersi dall'assurgersi al ruolo di giudici o peggio di inquisitori rispetto ad altri esseri umani ed imparare invece a farsi compagni di strada uscendo dalle roccaforti da cui sono soliti pontificare.
A parte tutto questo, perché mai lo Stato Italiano “riconosce la libertà di emigrazione e tutela il lavoro italiano all'estero” e non dovrebbe riconoscere anche il viceversa? Non solo questa sembra essere una grandissima ipocrisia ma anche una grandissima ingiustizia, un tentativo di arroccarsi dei diritti che, non venendo riconosciuti come universali, finiscono per diventare dei privilegi per pochi e come tali sempre detestabili. Mentre un giorno a me piacerebbe leggere che lo Stato Italiano “riconosce la libertà di immigrazione e tutela il lavoro degli stranieri in Italia”

lunedì 4 aprile 2011

Manifesto di Russell-Einstein

In considerazione del fatto che in ogni futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi mettono in pericolo la continuazione stessa dell'esistenza dell'umanità, noi rivolgiamo un pressante appello ai governi di tutto il mondo affinché si rendano conto e riconoscano pubblicamente che i loro obiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e li invitiamo, di conseguenza, a cercare mezzi pacifici per la soluzione di tutte le questioni controverse fra loro. Nella tragica situazione cui l'umanità si trova di fronte noi riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi in conferenza per accertare i pericoli determinati dallo sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere con una risoluzione nello spirito del progetto annesso. Parliamo in questa occasione non come membri di questa o quella Nazione, Continente o Fede, ma come esseri umani, membri della razza umana, la continuazione dell'esistenza della quale è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti e, al di sopra di tutti i conflitti minori, c'è la lotta titanica tra il comunismo e l'anticomunismo. Quasi ognuno che abbia una coscienza politica ha preso fermamente posizione in una o più di tali questioni, ma noi vi chiediamo, se potete, di mettere in disparte tali sentimenti e di considerarvi solo come membri di una specie biologica che ha avuto una storia importante e della quale nessuno di noi li può desiderare la scomparsa. Cercheremo di non dire nemmeno una parola che possa fare appello a un gruppo piuttosto che a un altro. Tutti ugualmente sono in pericolo e se questo pericolo è compreso vi è la speranza che possa essere collettivamente scongiurato. Dobbiamo imparare a pensare in una nuova maniera: dobbiamo imparare a chiederci non quali passi possono essere compiuti per dare la vittoria militare al gruppo che preferiamo, perché non vi sono più tali passi; la domanda che dobbiamo rivolgerci è: “quali passi possono essere compiuti per impedire una competizione militare in cui l'esito sarebbe disastroso per tutte le parti?”. L'opinione pubblica e anche molte persone in posizione autorevole non si sono rese conto di quali sarebbero le conseguenze di una guerra con armi nucleari. L'opinione pubblica ancora pensa in termini di distruzione di città. Si sa che le nuove bombe sono più potenti delle vecchie e che mentre una bomba atomica ha potuto distruggere Hiroshima, una bomba all'idrogeno potrebbe distruggere le città più grandi come Londra, New York e Mosca. È fuori di dubbio che in una guerra con bombe all'idrogeno le grandi città sarebbero distrutte; ma questo è solo uno dei minori disastri cui si andrebbe incontro. Anche se tutta la popolazione di Londra, New York e Mosca venisse sterminata, il mondo potrebbe nel giro di alcuni secoli riprendersi dal colpo; ma noi ora sappiamo, specialmente dopo l'esperimento di Bikini, che le bombe nucleari possono gradatamente diffondere la distruzione su un'area molto più ampia di quanto non si supponesse. È stato dichiarato da fonte molto autorevole che ora è possibile costruire una bomba 2.500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Una bomba all'idrogeno che esploda vicino al suolo o sott'acqua invia particelle radioattive negli strati superiori dell'aria. Queste particelle si abbassano gradatamente e raggiungono la superficie della terra sotto forma di una polvere o pioggia mortale. Nessuno sa quale grandezza di diffusione possano raggiungere queste letali particelle radioattive, ma le maggiori autorità sono unanimi nel ritenere che una guerra con bombe all'idrogeno potrebbe molto probabilmente porre fine alla razza umana. Si teme che lei, qualora venissero impiegate molte bombe all'idrogeno, vi sarebbe una morte universale, immediata solo per una minoranza mentre per la maggioranza sarebbe riservata una lenta tortura di malattie e disintegrazione. Molti ammonimenti sono stati formulati da personalità eminenti della scienza e da autorità della strategia militare. Nessuno di essi dirà che i peggiori risultati sono certi: ciò che essi dicono è che questi risultati sono possibili e che nessuno può essere sicuro che essi non si verificheranno. Non abbiamo ancora constatato che le vedute degli esperti in materia dipendano in qualsiasi modo dalle loro opinioni politiche e dai loro pregiudizi. Esse dipendono solo, per quanto hanno rivelato le nostre ricerche, dall'estensione delle conoscenze particolari del singolo. Abbiamo riscontrato che coloro che più sanno sono i più pessimisti. Questo dunque è il problema che vi presentiamo, netto, terribile ed inevitabile: dobbiamo porre fine alla razza umana oppure l'umanità dovrà rinunciare alla guerra? È arduo affrontare questa alternativa poiché è così difficile abolire la guerra. L'abolizione della guerra chiederà spiacevoli limitazioni della sovranità nazionale, ma ciò che forse più che ogni altro elemento ostacola la comprensione della situazione è il fatto che il termine “umanità” appare vago ed astratto, gli uomini stentano a rendersi conto che il pericolo è per loro, per i loro figli e loro nipoti e non solo per una generica e vaga umanità. È difficile far sì che gli uomini si rendano conto che sono loro individualmente ed i loro cari in pericolo imminente di una tragica fine. E così sperano che forse si possa consentire che le guerre continuino purché siano vietate le armi moderne. Questa speranza è illusoria. Per quanto possano essere raggiunti accordi in tempo di pace per non usare le bombe all'idrogeno, questi accordi non saranno più considerati vincolanti in tempo di guerra ed entrambe le parti si dedicheranno a fabbricare bombe all'idrogeno non appena scoppiata una guerra, perché se una delle parti fabbricasse le bombe e l'altra no, la parte che le ha fabbricate risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Sebbene un accordo per la rinuncia alle armi nucleari nel quadro di una riduzione generale degli armamenti non costituirebbe una soluzione definitiva, essa servirebbe ad alcuni importanti scopi. In primo luogo ogni accordo fra Est e Ovest è vantaggioso in quanto tende a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo l'abolizione delle armi termonucleari se ognuna delle parti fosse convinta della buona fede dell'altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso del tipo di Pearl Harbour che attualmente tiene entrambe le parti in uno stato di apprensione nervosa. Saluteremo perciò con soddisfazione un tale accordo, anche se solo come un primo passo. La maggior parte di noi non è di sentimenti neutrali, ma come esseri umani dobbiamo ricordare che perché le questioni fra Est e Ovest siano decise in modo da dare qualche soddisfazione a qualcuno, comunista o anticomunista, asiatico, europeo o americano, bianco o nero, tali questioni non devono essere decise con la guerra. Desideriamo che ciò sia ben compreso sia in oriente che in occidente. Se vogliamo, possiamo avere davanti a noi un continuo progresso in benessere, conoscenze e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte perché non siamo capaci di dimenticare le nostre controversie? Noi rivolgiamo un appello come esseri umani ad esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto. Se sarete capaci di farlo vi è aperta la via di un nuovo Paradiso, altrimenti è davanti a voi il rischio della morte universale.

Londra, 9 luglio 1955