lunedì 14 febbraio 2011

Sandro e Gianni da "Lettera ad una professoressa" della Scuola di Barbiana

Sandro aveva 15 anni. Alto un metro e settanta, umiliato, adulto. I professori l'avevano giudicato un
cretino. Volevano che ripetesse la prima per la terza volta.
Gianni aveva 14 anni. Svagato, allergico alla lettura. I professori l'avevano sentenziato un delinquente. E non avevano tutti i torti, ma non è un motivo per levarselo di torno.
Nè l'uno nè l'altro avevano intenzione di ripetere. Erano ridotti a desiderare l'officina. Sono venuti da noi solo perchè noi ignoriamo le vostre bocciature e mettiamo ogni ragazzo nella classe giusta per la sua età.
Si mise Sandro in terza e Gianni in seconda. È stata la prima soddisfazione scolastica della loro povera vita. Sandro se ne ricorderà per sempre. Gianni se ne ricorda un giorno sì e uno no.
La seconda soddisfazione fu di cambiare finalmente programma.
Voi li volevate tenere fermi alla ricerca della perfezione. Una perfezione che è assurda perchè il ragazzo sente le stesse cose fino alla noia e intanto cresce. Le cose restano le stesse, ma cambia lui. Gli diventano puerili tra le mani.
Per esempio in prima gli avreste riletto per la seconda o terza volta la Piccola Fiammiferaia e la neve che fiocca fiocca fiocca. Invece in seconda e terza leggete roba scritta per adulti .
Gianni non sapeva mettere l'acca al verbo avere. Ma del mondo dei grandi sapeva tante cose. Del lavoro, delle famiglie, della vita del paese. Qualche sera andava col babbo alla sezione comunista o alle sedute del Consiglio Comunale.
Voi coi greci e coi romani gli avevate fatto odiare tutta la storia. Noi sull'ultima guerra si teneva quattr'ore sénza respirare.
A geografia gli avreste fatto l'Italia per la seconda volta. Avrebbe lasciato la scuola senza aver sentito rammentare tutto il resto del mondo. Gli avreste fatto un danno grave. Anche solo per leggere il giornale.
Sandro in poco tempo s'appassionò a tutto. La mattina seguiva il programma di terza. Intanto prendeva nota delle cose che non sapeva e la sera frugava nei libri di seconda e prima.
A giugno il «cretino» si presentò alla licenza e vi toccò passarlo.
Gianni fu più difficile. Dalla vostra scuola era uscito analfabeta e con l'odio per i libri.
Noi per lui si fecero acrobazie. Si riuscì a fargli amare non dico tutto, ma almeno qualche materia. Ci occorreva solo che lo riempiste di lodi e lo passaste in terza. Ci avremmo pensato noi in seguito a fargli amare anche il resto.
Ma agli esami una professoressa gli disse: «Perchè vai a una scuola privata? Lo vedi che non ti sai esprimere? » «...»
Lo so anch'io che Gianni non si sa esprimere.
Battiamoci il petto tutti quanti. Ma prima voi che l'avevate buttato fuori di scuola l'anno prima.
Bella cura la vostra.
Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all'infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo.
Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta.
Invece la lingua che parla e scrive Gianni è quella del suo babbo. Quando Gianni era piccino chiamava la radio lalla. E il babbo serio: «Non si dice lalla, si dice aradio».                                                                                                                                                  
A questo punto volevamo mettere la parola che ci venne alla bocca quel giorno. Ma l'editore non la vuol stampare. Ora, se è possibile, è bene che Gianni impari a dire anche radio. La vostra lingua potrebbe fargli comodo.
Ma intanto non potete cacciarlo dalla scuola.
«Tutti i cittadini sono eguali senza distinzione di lingua». L'ha detto la Costituzione pensando a lui.
Ma voi avete più in onore la grammatica che la Costituzione. E Gianni non è più tornato neanche da noi.
Noi non ce ne diamo pace. Lo seguiamo di lontano. S'è saputo che non va più in chiesa, nè alla sezione di nessun partito. Va in officina e spazza. Nelle ore  libere segue le mode come un burattino obbediente.  Il sabato a ballare, la domenica allo stadio.
Voi di lui non sapete neanche che esiste.
Così è stato il nostro primo incontro con voi. Attraverso i ragazzi che non volete.
L'abbiamo visto anche noi che con loro la scuola diventa più difficile. Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro, la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile.
E voi ve la sentite di fare questa parte nel mondo? Allora richiamateli, insistete, ricominciate tutto da capo all'infinito a costo di passar da pazzi.
Meglio passar da pazzi che essere strumento di razzismo.

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