lunedì 11 luglio 2011

Srebrenica, poesia di Abdulah Sidran

Una briciola di Giustizia/E un granello di Verità/Trovate! /A Srebrenica restituite!
Una poesia di dolore collettivo, dolore per una città che non ha ancora trovato giustizia, che non può vivere il presente né guardare al passato.  
(Traduzione di Alice Parmeggian) 


Meglio che non ci sia
Piuttosto che ci sia
Una così
Come è oggi
La nostra Srebrenica
Nulla di morto né di vivente
In lei
Può più abitare
Sotto un cielo di piombo
Aria plumbea
Nessuno ancora
Ha mai imparato
Nei polmoni a inspirare
Da lei fugge tutto
Ciò che ha gambe
Con cui andare
E ha anche
Dove fuggire
Da lei fugge tutto
Anche ciò che germoglia
Ma sotto la nera terra
Non ha dove fuggire
Gli ortodossi fuggono
I nuovi arrivati e i locali
I mussulmani fuggono
I locali e i nuovi arrivati
E chi è rimasto
Vivo in qualche modo
Se ne è andato ed è tornato
Neppure un inverno con un’estate
Ha messo insieme
Né un autunno
Con una primavera
Ma ha fatto in modo
Quanto prima
Da Srebrenica di andarsene
Quanti c’erano di
Cattolici nostri vicini
E per loro Srebrenica
Da centinaia d’anni
Era un caro
E meraviglioso
Luogo di riunione
Della loro buona
E nobile comunità
Da tempo se andarono
Come se
Nella loro saggezza
Avessero saputo che sarebbe venuto un tempo
In cui non ci sarebbe più stata
Una buona Srebrenica
Ci dicono
Da dieci anni ci dicono
Che in Bosnia
La guerra è finita
Ci insegnano
E istruzioni scritte ci inviano
Che nel nostro stato
In Bosnia ed Erzegovina
La guerra è finita
E che nessuno
Può più
Guardare al passato
Ma quelli
Davvero credono
Che siamo vivi noi
Che qui stiamo
E da questo luogo
Così parliamo
Come se davvero fossimo vivi
Davvero pensano che si chiami salute
Davvero pensano che si chiami ragione
Ciò che in noi è rimasto
Della nostra salute e ragione di un tempo?
Ma non vedono, ma non sentono
Ma non sanno che noi,
Quanti di noi sono rimasti, siamo più morti di tutti
I nostri morti, e che qui oggi, con la loro voce,
La voce dei nostri morti, dalle loro gole,
Urliamo, e con il loro urlo – parliamo?
Non fateci
Guardare al passato!
Ma noi non lo guardiamo, è lui che guarda noi!
Voi dite:
Al futuro guardate!
Ma noi, quello,
In nessun modo e in nessun luogo
Non lo vediamo affatto
Né vediamo che esso
Con nessun occhio
Guarda a noi
Tanto meno ci vede
E di noi si preoccupa
Noi abbiamo un presente
Al quale con occhio umano
Guardare non si può
Noi stessi
L’aria plumbea
Nella nostra Srebrenica
Che più non c’è
Respiriamo con coloro
I cui occhi
Le cui mani
Le cui anime
nel nostro sangue sono immerse
E solo loro
Possono rallegrarsi
Del vostro ordine
Di non guardare al passato
Ma noi cos’altro oltre a quello abbiamo
Cos’altro
Se non quello
Abbiamo da guardare?
Davvero potete
A una madre dire
Di non guardare il figlio?
Davvero a una sorella potete
Un ordine inviare
Di non guardare il fratello?
Prendeteci gli occhi
Ma più non insegnateci, più non inviateci
Quel genere di consigli, istruzioni e ordini!
Forse davvero, come voi dite,
La guerra è finita! Ma per noi, nella nostra Srebrenica,
La guerra è finita solo quel poco, e noi stessi, di giorno,
Fingiamo che sia così, che sia finita sul serio!
Ma da noi, e d’estate e d’inverno – e sono già diciassette anni
Così! – troppo brevi sono i giorni, e lunghe, troppo lunghe le notti.
Al primo apparire del crepuscolo, noi i nostri portoni
Con chiavistelli di ferro rinserriamo, che non venga e non entri
Quella che allora venne ed entrò, e tutto ciò che era nostro,
Caro e amato – dalla vita separò!
Quella, oggi, la Pace a Srebrenica per noi mantiene!
Come può dormire una madre di Srebrenica?
Appena chiude gli occhi, ecco la guerra alla porta, ecco quel secondo
Nel quale vide, sotto il coltello cetnico,
Separarsi dal proprio corpo la testa di suo figlio!
Solo talvolta, fra mille, nell’insonnia mormorate,
Preghiere per i defunti, ne ha pietà il Buon Dio! E quando il sonno sugli occhi le posa,
Lei, in sogno, sempre riunisce la testa al corpo del figlio
Insepolto!
Come possiamo vivere il presente?
Come possiamo non guardare al passato?
Una sorella nostra c’è, non è fra noi, ma è viva!
Una tomba si è fatta, qui a Sarajevo.
da un alloggio. Le finestre non apre, da lì guardare non osa,
Tanto meno uscire in strada! Quattro figli ha perso! Se
Per strada un ragazzo o una fanciulla incontrasse, e uno di loro
Per lei somigliasse a uno dei suoi – il cuore le scoppierebbe, in
Quattrocento pezzi!
È questa la Pace?
È così che finisce la Guerra?
Quando tace
L’arma di ferro
Ma fino al cielo urla
Un cuore materno?
Quando il criminale
Si cambia la camicia
E con essa
Sotto le nostre case
E le nostre finestre
Nella nostra Srebrenica
Custodisce la nostra pace?
Per voi il vostro è trascorso
Ma per noi
Il nostro passato
Per nulla lo è!
Né passerà
Né può passare
Finchè il cielo di piombo
Di argento la nostra
Srebrenica1 non ricoprirà
Finché sotto il suo
Cielo di piombo
L’aria di piombo
E le boccate
D’aria plumbea
Respiriamo e inghiottiamo
Con coloro che hanno sì
Cambiato camicia
Ma il cuore sotto la camicia
E nel cuore l’odio
Cambiato non hanno
Né pensano di cambiare
Per voi il vostro è trascorso
Per noi no
Il nostro passato
Non fateci ritornare
Non fateci ritornare
In quella, fatta così,
Plumbea
Srebrenica
Invece
Per un istante almeno
Guardate dove nelle vostre anime
Nei libri
Si è perso un granello
Di Verità e di Giustizia
Se nel vostro cuore
Almeno uno solo
Di Verità e di Giustizia
Un granello trovate
Di bene e di argento
Un’argentea e buona
Bellezza
Srebrenica
A Srebrenica restituite!
Una briciola di Giustizia
E un granello di Verità
Trovate!
Srebrenica
A Srebrenica restituite!
E noi
Con l’aiuto di Dio
Chi da vivo chi da morto
Subito vi ritorneremo
Che si possano
Con l’aiuto di Dio
Ricongiungere e placare
Tutte
Di tutti i tempi
Le anime di Srebrenica
E
Queste anime nostre
Afflitte e morte
Con le anime vive
Di tutti i nostri morti


1 La radice del nome Srebrenica è “srebro”, argento.

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